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Giacomo Carmagnola, 2017 "Long as the boat goes"
Chiara Franchi
26 mag 2017
Sviluppati o soccombi
Prima di analizzare la generazione dell’imminente futuro, e di conseguenza la sua società e cultura, è bene analizzare un ultimo argomento. Nell’ultimo ventennio la “cultura convergente” ha attuato un processo di rielaborazione dei paradigmi dominanti nel mondo del marketing, mettendo in nuova luce il rapporto tra target ed aziende, le quali devono oggi concentrare i loro sforzi per guadagnare consenso, rispetto ed approvazione. È importante sottolineare come questa realtà transmediale non si sia sviluppata in un breve arco temporale, oltre ad aver riscontrato non pochi problemi sia sociali che politici. Si pensi al nostro Paese, nelle scuole e fra la popolazione italiana, dai primi anni del XXI secolo serpeggiava una diffidenza generalizzata nei confronti del web e delle “opportunità”, o meglio dei pericoli, che inglobava. Si ritenne opportuno attivare programmi di sicurezza in cui si istruivano gli adolescenti, e non solo, sul pericolo che Internet rappresentava nell’immediato presente e nel futuro in termini di privacy, truffe, pubblicità indesiderate, soprusi, adescamenti e quant’altro. Non vi fu nessuna iniziativa sociopolitica volta ad istruire sulle nuove competenze digitali e delle relative opportunità che queste avrebbero portato nel futuro.
Nell’ultimo decennio, grazie ad una maggiore consapevolezza delle potenzialità dell’avanzamento tecnologico, dovuta in larga misura all’inserimento nel mercato di quella fetta di ex adolescenti Millennials divenuti studenti universitari o lavoratori, abbiamo assistito alla vera rivoluzione socioculturale della realtà in cui oggi viviamo: multicanale, multidevice, multischermo, multimediale, multietnica, multiculturale, socialmente, culturalmente e politicamente attiva. In questo panorama, le imprese hanno dovuto ripianificare le strategie di marketing e non solo.
Molte aziende, in tutto il mondo, sottovalutarono quanto la società stesse cambiando le proprie abitudini e si ritrovarono qualche anno dopo a dover rincorrere i propri consumatori o, al peggio, a vendere o chiudere i brand/attività.
Qualche esempio rappresentativo di come l’incapacità di adattare le proprie strategie di marketing abbia fatto vacillare negli anni anche colossi aziendali.

Ed Zander, CEO Motorola, nel 2005, durante una conferenza in cui presentava il ROKER, telefono collegato ad iTunes, avente la capacità massima di salvare 100 brani musicali, rispose ad una domanda fatta dal pubblico circa le sue considerazioni sul suo concorrente, l’iPod Nano di Apple, capace di contenere ben 1000 brani musicali: “All’inferno l’iPod Nano! Chi è che ascolta 1000 canzoni??”.

Jim Keyes CEO dell’azienda Blockbuster, dichiarò nel 2008 su The Motley Fool: “[...] Netflix è lontana dal nostro radar in quanto a competitività”. Due anni dopo, nel 2010 la catena Blockbuster dichiarò bancarotta mentre Netflix oggi vale 54,46 miliardi di euro.

Nel 2011 Reggie Fils-Aime, presidente della Nintendo Nord America dichiarò che dal punto di vista del consumatore, i giochi per mobile erano un “fenomeno passeggero”, una bolla alla quale Nintendo non si sarebbe esposta. Nella prima metà di Luglio 2016, Apple e Nintendo lanciarono l’app “PokemonGo”. Apple dichiarò che PokémonGo fu l’applicazione più scaricata dall’App Store durante la settimana di lancio e non solo, l’applicazione ebbe il più alto numero di giocatori connessi contemporaneamente, superando videogiochi come “Candy Crush Saga”. L’uso dell’applicazione, in termini di tempo, superò le applicazioni dei social network: Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e altri.
Gli esempi riportati fanno riflettere, il marketing è un processo economico strettamente e indissolubilmente legato al contesto sociale. Che siano beni fisici o meno, prodotti o servizi, simboli o emozioni, “tutto ciò che può essere scambiato, in modo esplicito o implicito, deliberato o involontario, in forma individuale od organizzata, con fini strettamente economici o marcatamente sociali è oggetto di un processo di marketing”(1).
Questo legame che il marketing condivide con la società, lo rende vulnerabile ai cambiamenti.
In questo panorama, si definiscono la “Customer Engagment” e la “Customer Experience”. La prima, riguarda l’interazione del cliente con la marca, che sia fisica o esclusivamente online. Grazie all’utilizzo dei social network, le aziende hanno la possibilità di studiare la vita quotidiana del loro pubblico e proporre servizi, prodotti e contenuti ad hoc. Inoltre, i social media offrono il vantaggio delle analisi, grazie alle quali i brand possono monitorare le proprie scelte e programmarne di altre. La Customer Experience, anche conosciuta come “CX”, progetta ed accompagna in ogni sua sfaccettatura l’esperienza fisica e, ancor più importante, quella emotiva che il cliente ha con la marca.
La principale skill della CX è la conoscenza, chiara e precisa, del fattore che differenzia il brand di cui si occupa dai brand competitor e di quale sia il fattore determinante che porta il consumatore a una marca piuttosto che a un’altra.
La Customer Engagment e la Customer Experience sono alla base dei piani di marketing odierni poiché, studiando ed ascoltando il pubblico, riescono a coinvolgerlo ed anticiparlo così da rendere l’azienda pronta all’esigenza del consumatore. Questo si traduce non in perdita, bensì in guadagni, ingenti, per i brand che le adottano.
Grazie a queste strategie di marketing siamo testimoni negli ultimi anni dello sviluppo di nuove economie, tra le quali possiamo annoverare la co-creation, il DIY(2), la sharing economy.
Nel corso di questo ventennio, alcune aziende, considerate ai tempi “visionarie”, hanno prima di altre intercettato e studiato il cambiamento di paradigma socioculturale che vi era in atto.

Un esempio è l’azienda di abbigliamento sportivo Nike. Nike, lancia sul mercato nel 1999 il sito NikeiD3 in cui dà la possibilità, per la prima volta nella storia, di personalizzare un prodotto originale Nike secondo le preferenze del consumatore, dando così la possibilità di scegliere una moltitudine di abbinamenti e rendere la scarpa da ginnastica unica e personale, in linea con lo stile di vita del consumatore. NikeiD fu un enorme successo e spinse l’azienda a promuovere un nuovo progetto.
Nel 2004, al quinto piano del NikeTown, a New York City, aprì il primo NikeiDstudio. Qui gli atleti potevano personalizzare le proprie calzature creando delle edizioni limitate. I clienti Nike, invece, avevano la possibilità di personalizzare le proprie scarpe con un designer NikeiD al proprio fianco, con lo scopo di accompagnare il cliente all’interno della nuova esperienza, conoscerlo, consigliarlo, rassicurarlo, creando un rapporto personale con lui. Azienda e pubblico per la prima volta si incontrano.
Il designer NikeiD diventa per il cliente non un commesso Nike ma, il volto del brand con il quale poter instaurare un rapporto, scherzare, chiarirsi ed avere un tanto ambito confronto. Con quasi un anno di anticipo rispetto ai piani di marketing, NikeiD ha un fatturato pari a 5 miliardi di dollari, grazie anche all’uso dell’e-commerce e dei NikeiDstudio aperti in tutte le NikeTown.
Dopo il successo di NikeiD anche altri rinomati brand di abbigliamento e calzature sportive hanno realizzato il servizio di personalizzazione. Tuttavia, per il pubblico resta NikeiD la top of mind del servizio.
Nel 2014 Nike ha collaborato con quattro giocatori dell’NBA(4) utilizzando la tecnologia “Internet of Things”. Questo gli permise di monitorare la salute degli atleti ed inoltre, di pianificare degli allenamenti mirati al benessere del singolo atleta ed evitare così l’affaticamento o il deterioramento fisico/muscolare dello stesso. A partire dal 2017, Nike sarà, per una durata di 8 anni, l’unico fornitore delle uniformi NBA, nelle quali installerà una tecnologia per monitorare e migliorare la salute e prestazioni degli atleti. Questa partnership è costata a Nike 1 miliardo di dollari, ma l’azienda statunitense punta sull’impatto emotivo e storico che questa azione avrà, dimostrandosi ancora una volta lungimirante e all’avanguardia.
Se i punti cardine sui quali si basavano le strategie di marketing fino a pochi anni fa erano “prodotto, azienda e vendite”, oggi si può dire che essi sono mutati in “cliente, marca, valore”. In una società entrata nell’era della “social side economics”, e con il delinearsi della nuova Gen. Z, è in atto un ulteriore cambiamento socioculturale, imprescindibile dai piani di marketing.
A presto!
CF
1. Michele Costabile, professore ordinario di Marketing nel Dipartimento di Impresa e Management, LUISS.
2. DIY abbreviazione del temine do-it-yourself.
3. http://www.nike.com/us/en_us/c/nikeid
4. NBA acronimo della National Basketball Association’s.