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Di generazione in generazione

Art
Maurits Cornelis Escher, 1956
"Bound of Union"

Chiara Franchi

19 mag 2017

L'evoluzione e l'importanza dello studio generazionale

Sin dalle origini, il concetto di generazione è stato insito nell’uomo, utilizzato quotidianamente in frasi quali: “di generazione in generazione” o “al mio tempo non ci si comportava in questo modo”. Attraverso i secoli, e sovente accade tutt’ora, il termine generazione ha mantenuto la sua accezione di “susseguirsi di fasi biologiche della vita”. Sorprende dunque constatare che, nonostante fosse un termine di uso comune, non suscitò, almeno fino al 1830, l’interesse degli storici. Fu Augusto Comte(1), nel suo libro “Cours de philosophie positive” che per la prima volta cercò di definire tale termine. Comte, partì dallo studio dell’evoluzione sociale e del progresso del suo tempo per sottolineare l’importanza della durata della vita in rapporto all’accelerazione del rinnovamento generazionale. L’approccio del filosofo e sociologo francese, seppur avanguardista, non teneva in considerazione l’aspetto principale del tema per poter spiegare le forze dinamiche che operano nel processo evolutivo di una società: la “coerenza mentale”. Essa accomuna gli uomini che maturano durante lo stesso periodo, con gli stessi stimoli ma con educazioni e tradizioni diverse. Fu José Ortega y Gasset(2), quasi un secolo dopo, a concentrare la sua ricerca sul concetto di generazione in tale direzione.


Nel 1974, Karl Mannheim, sociologo Tedesco di origini Ungheresi, formulò i dettami sociologici del termine generazione, e li trascrisse nel suo libro “Il problema delle generazioni(3). Secondo tale testo, ciascun individuo viene caratterizzato in principio da una data “capitale”: la data di nascita, in cui il soggetto entra a far parte di una determinata popolazione in un determinato arco temporale. Il contributo di Mannheim sta nell’attribuire un valore cardine al contesto socioculturale che l’individuo vive durante la fase della vita in cui si è maggiormente recettivi, l’adolescenza. Nascono così le cosiddette “unità generazionali”, veri e propri gruppi di persone portatori dei principi socioculturali che caratterizzano la loro epoca.


Negli anni sono state definite 7 generazioni principali:

  • “Lost Generation” i nati verso la fine del 1800 e gli inizi del 1900;

  • “Greatest Generation” o “G. I. Generation” nati tra il 1901 - 1924;

  • “Silent Generation” 1925 - 1946,

  • “Baby Boomers” 1947 - 1964;

  • “X Generation” 1965 -1980;

  • “Y Generation” meglio noti come “Millennials” fine anni ’80 – 1995;

  • Generation Z 1996 - 2010 ed infine la “Alpha Generation” o “Screenagers” nati dal 2010 i quali, trovandosi in una fase embrionale, non verranno per i prossimi 7 anni da me studiati.


Sono curiose le dinamiche che danno a taluna generazione la propria nomenclatura. Non vi è un organo istituzionale, gruppo di sociologhi o linguisti che battezza una generazione ma, piuttosto, nasce in modo spontaneo da uno o più individui che, soffermandosi su dettagli di dinamiche sociali o fatti accaduti, battezzano la generazione. In questi termini, la nomenclatura di ciascuna generazione nel corso della storia sembrerebbe una prima forma di contributo “Grassroots”, anche in tempi non sospetti dove il potere decisionale spettava ai così detti “potenti”.


“Lost Generation” è la nomenclatura data a quel gruppo di individui che raggiunse la maggiore età combattendo durante la Grande Guerra. Lost Generation è un termine utilizzato per la prima volta dalla scrittrice statunitense Gertrude Stein. Il senso della parola “lost” è da attribuire, secondo la scrittrice, ai valori andati persi come le emozioni ormai diventate, a causa delle atrocità delle guerra, sterili. Oltre alla scrittrice Americana, ad altri scrittori venne attribuita la paternità del temine, fra cui Ernest Hemingway, il quale usò come epigrafe del suo romanzo “The sun also Rises”(4): “Siete tutti una generazione persa!”. Nel romanzo, l’autore descrive i comportamenti di un gruppo di giovani disillusi ed espatriati utilizzando una frase detta da un proprietario di garage in Francia, come dichiarò lui stesso in “A Moveable Feast”(5) nel 1964.


Della “Greatest Generation” o “G. I. Generation” fanno parte tutti quei veterani della Grande Guerra, successivi protagonisti della grande depressione e combattenti anche nella seconda guerra mondiale. Il termine “Greatest Generation” deriva dall’omonimo libro del giornalista americano Tom Brokaw, il quale nel 1998 elogiò questi uomini e donne poiché furono l’unica generazione che conosciamo a non combattere per fama e gloria personale quanto per senso del dovere e di giustizia. William Strauss e Neil Howe, due demografi, coniarono il termine “G. I. Generation” per la prima volta nel loro libro del 19916. L’acronimo “G. I.” indica la terminologia militare “Government Issue”, “Problemi governativi”.


La generazione dei “Baby Boomers” rappresenta invece tutti coloro che sono nati durante il dopoguerra, dalla prima metà degli anni ’40 sino alla prima metà degli anni ’60. Il nome “Baby Boomers” è da attribuire al boom di natalità che caratterizzò buona parte della popolazione mondiale in quell’epoca. Nei soli Stati Uniti le nascite furono 77 milioni, pari al 40% della popolazione americana dell’epoca. La generazione dei Baby Boomers ebbe un forte impatto sull’economia mondiale poiché l’elevata domanda dei beni di consumo stimolò una decisa ripresa economica. Molti studiosi sono d’accordo nel definire la generazione dei “Boomers” una generazione “fortunata” poiché ebbe l’opportunità di godere di diversi fattori di crescita. I nuclei familiari, per esempio, ebbero degli anni molto floridi, le donne erano propense a sposarsi in giovane età e a formare nuclei familiari estesi, anche con numerosi figli. Le aziende proliferavano vicino ai centri cittadini, vi era un aumento dei salari e dei prodotti per i consumatori. Aleggiava un senso generale di fiducia. Tutto ciò portò ad un ethos, per famiglie e aziende, ideale. Le aziende iniziarono a percepire il cambiamento e pianificarono strategie di marketing in cui facevano da padroni i Baby Boomers. Questo momento di grande crescita, portò gruppi di Boomers ad una controcultura, guidata dall’insoddisfazione, sempre più evidente a partire dagli anni ’60. Fu la generazione “on the road” delle rivoluzioni culturali, quella che combatté per i diritti civili, quella del movimento hippie, del pacifismo, del rock. Francesco Morace chiama i Boomers inseriti nel contesto sociale odierno “Super-Adulti”. Nonostante la crisi economica e l’età, oggi ultra sessantenni, influenzano l’economia non solo in termini quantitativi ma in “termini d’incisività valoriale”. Figli e nipoti hanno trovato in questa generazione un punto saldo, una certezza non solo economica ma anche psicologica, morale e di protezione da un mondo frenetico e sempre più complesso da gestire.


La “X Generation” è il segmento principale dell’odierna società. Sono, i nati tra gli anni ‘60 e ’80 e corrispondono alla fascia d’età che va dai 55 ai 35 anni. L’appellativo “X” gli venne dato nel 1991 dallo scrittore canadese Doug Coupland nel suo libro “Generazione X”, in cui approfondisce l’epoca in cui questa generazione si è formata, utilizzando la formula causa-effetto.

Coupland li descrive come una generazione “in incognito” la quale, dopo la fase ideologica che caratterizzò gli anni Sessanta e Settanta, si concentra su una riflessione personale e sul proprio destino. Contrariamente alla generazione precedente, caratterizzata da una forte influenza ideologica, per la prima volta questa generazione si trova a lottare da sola per se stessa. Entrati nel mondo del lavoro con lauree e master, vengono spesso etichettati come “fannulloni”. Come sostiene Coupland, sono stati plasmati da un crollo ideologico, da una crisi della religione e soprattutto da un’instabilità economica pari alla crisi del dopoguerra. Sono quindi caratterizzati da basse aspettative e da una continua ricerca di stabilità nella vita privata così come sul posto di lavoro. Rispetto alla generazione precedente ha però un’apertura mentale maggiore, è la prima generazione ad aver interagito con tecnologie per l’intrattenimento nuove come il Commodore 64 ed è la prima ad aver scaricato musica e sfruttato i sistemi peer-to-peer. Il ruolo della donna, in questa generazione prende il sopravvento. Spinte da un pensiero femminista maturo, le donne della Gen. X hanno trasformato ideali sociali, lavorativi e politici in presenza concreta. Trovano una realizzazione quotidiana nel gestire l’educazione dei figli, la carriera professionale ed il contributo e la presenza sociale.

La Gen. X è la generazione che ha preparato il terreno per il cambiamento sociale e progettato l’ascesa del “design thinking” , base dell’attuale paradigma socioculturale. È stata la prima generazione ad aver cambiato il paradigma televisivo, passando da un “serbatoio uniforme” ad una “palestra di unicità condivise”. È con loro che cade il senso delle ideologie contrapposte in favore di una molteplice fonte di stimoli da cui liberamente attingere in favore di una crescita responsabile, e quindi, più matura.


L’appellativo “Y Generation” venne dato nel 1993 dalla rivista Ad Age(7) in un articolo dove, venendo descritti gli adolescenti della società, si evidenziò il bisogno di distinguerli nettamente rispetto alla generazione che li precedeva, venendo così battezzati Y Generation. Il termine “Millennials”, venne invece coniato dai membri stessi di questo gruppo, come sostengono i già citati scrittori Neil Howe e William Strauss. Figli delle innovazioni tecnologiche, sono cresciuti con ed insieme ad esse. Sono l’ultima generazione ad aver usato un walkman e la prima ad aver usato un iPod. Hanno utilizzando sin dai primissimi anni dell’adolescenza gli “Short Message Service”, per poi evolversi insieme alla tecnologia, passando dalla posta convenzionale alle e-mail fino ad arrivare oggi ai social network. Lo sviluppo tecnologico che vi è stato agli inizi del XXI secolo ha permesso loro uno sviluppo cognitivo notevole in pochi anni. Tuttavia, una crescita tanto rapida ha portato con sé delle conseguenze. La crisi economica del 2007 ha destabilizzato questo gruppo, il quale ha reagito adattandosi ad un mondo “in cui il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza l’unica certezza(8). Simon Sinek(9) descrive i Millennials come “difficili da gestire, narcisisti, egoisti, dispersivi, pigri e pensano che gli sia tutto dovuto”.

I Millennials, figli dei Baby Boomers, sono cresciuti secondo “strategie fallimentari di educazione familiare”, contesti familiari idealizzati in cui si ha tutto ciò che si desidera, senza meritocrazia o lunghe attese. “Tutto e subito”, questo sembra essere il motto di questa generazione la quale, nonostante le menti brillanti che contribuiscono notevolmente alla crescita socioculturale del tempo, sembra aver perso la dimensione reale della fatica per il successo, personale prima che lavorativo. Questo comportamento, provoca una sensazione di costante mancanza. Qualsiasi cosa si abbia o si faccia si tramuta in infelicità. Sono infatti la generazione del motto “Mai una gioia!”. Filippo La Porta, giornalista e critico letterario italiano, preferisce definirli “indaffarati”. Nel suo omonimo libro scrive: “La nostra non è affatto un’epoca incolta ed i giovani non sono apatici ed intellettualmente pigri. Casomai, mi appaiono nel bene e nel male, indaffarati. Perché impegnati sia nel restare sempre connessi, sia nel fare concreto, nello scambiare, nel condividere, nel collaborare e nel comperare”(10).


Il termine “Generation Z” è da attribuire alla popolazione stessa. Nel 2012, USA Today sponsorizzò un contest in rete in cui i lettori del magazine avevano la possibilità di proporre un nome a quella generazione che, nata secondo la Kelley School of Business(11) tra la metà degli anni ’90 e il primo decennio del 2000, evidenziava già una forte personalità. I giovani appartenenti a questo gruppo sono i primi veri nativi digitali. Sono nati e cresciuti con il web 2.0, velocità d’informazione e connessioni transmediali che gli hanno permesso di sviluppare una notevole capacità d’apprendimento. L’elevato sviluppo tecnologico ha però ulteriormente marcato un crescente divario tra le classi sociali. La classe media è la classe che più ha accusato il colpo, con conseguente aumento di stress nella popolazione. Le condizioni preliminari che caratterizzano il loro quotidiano sono: la recessione economica, la famiglia, la multietnicità, l’amore ed il rispetto per la natura, la cura della persona e del proprio “Io”, le connessioni, la condivisione, i dispositivi tecnologici, il web gratuito, i social network. All’interno delle famiglie, hanno assistito al duro lavoro che genitori o fratelli hanno dovuto affrontare per ottenere e mantenere il posto di lavoro e il conseguente sconforto quando questo viene meno. Tutto ciò ha sviluppato in loro la voglia e il perseguimento della soddisfazione personale in ambito lavorativo e familiare. Sono quindi determinati a fare delle loro passioni il futuro lavoro, lavoro in cui potersi rivedere, lavoro su cui investire il loro tempo, la loro vita.



Come abbiamo visto, ciascuna generazione è caratterizzata da eventi fulcro, evoluzioni del contesto socioculturale dell’epoca d’appartenenza: guerre, crescite e crisi economiche, avanzamenti scientifici, tecnologici, globalizza- zione. Il nostro è un quadro generazionale particolarmente complesso: nell’ultimo decennio abbiamo, infatti, assistito ad un vero cambiamento epocale dovuto in primo luogo all’avanzamento tecnologico che, come dice Jenkins, ha permesso la connessione e l’avanzamento delle nostre stesse menti, favorendo la nascita di nuovi paradigmi sociali e di nuove forme di economia.


Oggi in particolar modo, analizzare e studiare a fondo le generazioni ci permette non solo di comprendere in maniera più approfondita una popolazione rispetto alla mera indagine statistica, ma consente di poter individuare degli insight da fornire alle aziende per permettere loro di comprendere dinamiche sociali, culturali ed economiche attuali ed anche future. Diventa così fondamentale dar voce e spazio alle opinioni, alle impressioni e alle vite dei singoli, protagonisti e co-autori della società e del mercato con il quale il mondo delle cooperative, aziende o brand dovrà indiscutibilmente collaborare. In questi termini, approfondirò in modo quanto più dettagliato, la struttura socioculturale ed economica dell’im minente realtà a cui il mercato e le istituzioni dovranno rendere conto, la Generazione Z.


A presto!

CF


 

1. Isidore Auguste Marie François Xavier Comte, filosofo e sociologo francese, considerato il padre del Positivismo.

2. José Ortega y Gasset, filosofo e saggista spagnolo.

3. Karl Mannheim, “Il problema delle generazioni”, in Sociologia della conoscenza, Bari, Laterza, 1974 (ed. originale 1928).

4. Ernest Hemingway , 1926 “The sun also Rises” primo romanzo dello scrittore statunitense pubblicato a New York.

5. Ernest Hemingway, A Moveable Feast, libro di memorie incompiuto pubblicato postumo nel 1964.

6. Neil Howe & William Strauss, (1992) “Generations: The History of America’s Future 1584 to 2069”, HarperCollins.

7. Advertising Age, magazine fondato nel 1930 a Chicago, Stati Uniti. Punto di riferimento internazionale per i temi quali: pubblicità, marketing e mass media.

8. Zygmunt Bauman, (2002), Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza.

9. Simon Sinek, scrittore, motivational speaker e consulente di marketing. Autore nel 2009 del bestseller “Start With Why: How Great Leaders Inspire Everyone to Take Action”.

10. Filippo La Porta, (2016) “Indaffarati”, Bompiani.

11. Kelley School of Business, Facoltà di economia a Bloomington, Indiana.



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